Lo dice la Costituzione

di Raffaele Iannuzzi

 

In un clima melodrammatico degno del peggior teatrino della politica, si sta celebrando, nel nostro Paese, l’ennesimo rito collettivo anti-costituzionale, oggi, inoltre, contro l’oggettiva e testarda connotazione del principio di realtà. In questo caso, come in altri, è la realtà si identifica perfettamente con il dettato costituzionale. Il Pd, nella persona di Veltroni, dopo aver dato la spallata al governo Prodi, pretende l’instaurazione di un ordine politico-istituzionale non contemplato dalla Costituzione. Cosa è mai un governo tecnico ovvero istituzionale che garantisca una non meglio definita “stabilità” ad un Paese che ha già subito un governo devastante come quello di Prodi? E, ancora: come si può ragionevolmente pensare di mettere insieme un esecutivo, non eletto dal popolo, dunque già in ciò eminentemente anti-costituzionale, e per giunta al fine di fare le riforme costituzionali che il governo precedente, guidato da Prodi, non è riuscito a fare? Allora, quale sarebbe la fonte della legittimazione politica di un governo? Gli istituti bancari, quelli finanziari, la tecnostruttura o cos’altro? Tutta roba, in ogni caso, che la Costituzione non prevede come elementi di legittimo esercizio del potere esecutivo e di indirizzo legislativo, men che meno in fasi delicate come queste. Dunque, stando così le cose, sul piano costituzionale - adorato dai leaders di sinistra quando conviene loro, ignorato quando la convenienza e la paura suggeriscono uscite di sicurezza -, perché mai Berlusconi sarebbe un mezzo eversivo soltanto perché ricorda ai politicanti della sinistra che o si va alle urne o la gente non potrebbe far altro che manifestare il proprio dissenso affollando le piazze e rumorosamente? E’ un dato di fatto, nel più puro senso anglosassone, analitico, un matter of fact, un’evidenza cristallina alla quale si giunge rigorosamente attraverso la semplice conststazione dei fatti e la compulsazione avvertita del testo costituzionale.

Infatti, la Costituzione, art. 88, recita: “Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse”. Dunque, declinando il tutto nella fase attuale: Napoletano “può”, dopo aver sentito, come ha già fatto, Marini e Bertinotti, sciogliere le Camere. “Può”, cioè è in grado di fare ciò che la Costituzione gli consente di fare, non si tratta di una pratica anomala o di un azzardo istituzionale. Nei casi più gravi – e mi sembra che la fase attuale abbia eccezionali caratteristiche di gravità -, egli addirittura deve, senza sentirsi bloccato da pregiudizi e pregiudiziali, quali ad esempio la cosiddetta “necessità” di andare a votare con un’altra legge elettorale (e dove sta scritta questa norma? Si vota con la legge che si ha, quando votare è necessario). Un attento commentatore della Costituzione, Luigi Cattani, commenta acutamente: “L’articolo non dice in quali ipotesi il Presidente della Repubblica possa fare uso di questo grave potere, né potrebbe essere altrimenti, giacché trattasi di materia che repelle ad ogni definizione legislativa. E’, però, da ritenere che i casi principali in cui il Presidente farà uso di tali poteri saranno quelli in cui si produce un insanabile contrasto fra le due Camere, o che esse non si accordino nel concedere la fiducia ad un Governo qualsiasi o, in genere, quando esse non siano più fedele specchio delle aspirazioni del popolo”.

Bene. Ci sono almeno due ragioni allora per sciogliere le Camere: a) il Senato non ha dato la fiducia al governo, b) il governo Prodi non era più certamente “fedele specchio delle aspirazioni del popolo”, come ha clamorosamente dimostrato il tripudio di piazza, a Roma e in altre città, subito dopo la caduta, in Senato, del medesimo governo.

Conclusione di solare evidenza e fondata sui fatti e sul dettato costituzionale. Il Presidente Napoletano è obbligato a sciogliere le Camere e per ben due ragioni contemplate dalla dottrina costituzionale. Se lo dice Berlusconi non fa altro che rappresentare le giuste e legittime ragioni del popolo. L’unica salvezza del Paese è nelle mani del popolo.

 


                                                              

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