Il caso dell�aborto selettivo praticato
qualche mese fa al San Paolo a� Milano, e venuto alla ribalta mediatica in
questi giorni, fornisce l�ennesima prova della profonda confusione con cui
la societ� odierna interpreta le vicende che la riguardano � il che
significa, con cui interpreta se stessa. Il dibattito sviluppatosi si �
immediatamente configurato come una contrapposizione fra i paladini della
legge 194 e quanti ne denunciano l�ambiguit�. Che questo testo normativo � e
in particolare l�uso dell�attributo �terapeutico� per qualificare interventi
meramente selettivi � sia piuttosto ambiguo, credo sia abbastanza evidente,
ed � pi� volte stato rilevato. Lo stesso Silvio Viale, promotore della
RU486, afferma che tutti gli aborti terapeutici sono selettivi. Per non
ripetere argomentazioni gi� esaurientemente esplicitate, vorrei pertanto
concentrarmi su un altro aspetto peculiare del dibattito in corso, quello
del linguaggio con cui la questione � affrontata. Se, infatti, il linguaggio
� l�esplicitazione della comprensione che una societ� ha di s� e della
realt�, le categorie con cui le questioni etiche vengono affrontate danno in
qualche modo la misura della stato di salute morale e intellettuale della
societ�. Ad una siffatta analisi emerge un dato interessante. Come nei
migliori gialli, o nella metafisica heideggeriana, l�elemento pi� importante
� ci� che manca. E in questo caso, a non essere menzionato, � l�embrione
superstite. �
La retorica della disgrazia, della tragica
fatalit�, del male involontario, sembra aver dimenticato che gli embrioni in
questione erano due. La ginecologa che ha somministrato l�intervento parla
di �fallimento�, il ministro Turco in un�intervista al Corriere della Sera
parla di errore gravissimo, di un �esito tragico�, di due genitori posti di
fronte a una scelta difficile, che hanno corso un grosso rischio e,
purtroppo, �� andata come � andata�. Sembra cio� che sia l�esito infausto
dell�intervento � l�aver eliminato il feto sano � a qualificarlo come
tragico. Il che presuppone implicitamente che se non si fosse sbagliato il
bersaglio, nulla avrebbe urtato la pubblica sensibilit�. Se pertanto un
destino avverso non avesse voluto che i due feti � come sembra essere
avvenuto � si scambiassero di posto, i media non avrebbero versato tante
lacrime, e nessuna coscienza sarebbe rimasta scossa. Si sarebbe trattato di
un intervento �terapeutico� e dunque � se non buono � per lo meno
indifferente. �
Naturalmente, i pi� attenti paladini
dell�aborto terapeutico, a cominciare dal ministro, non negano che la scelta
di sottoporsi ad un aborto selettivo � una scelta difficile e sempre
sofferta, ma si ha la sensazione che tali precisazioni, nobile concessione
alla sensibilit� cattolica, rimangano soffocate dalla predominante retorica
dell�errore fatale, che riduce la tragedia ad un banale errore di bersaglio.
Nella stessa trappola retorica cadrebbe chi denunciasse l�aborto terapeutico
a partire dalla mera considerazione della possibilit� the si ripetano errori
simili. L�argomento non � privo di rilevanza, ma non centra il problema.
Un approccio razionale e umano � non
necessariamente cattolico � alla questione consiste invece nel chiedersi
cosa rendesse i due embrioni talmente diversi da configurare l�eliminazione
di uno come indifferente alla pubblica sensibilit�,� e l�eliminazione
dell�altro come un tragico errore. La sola differenza consisteva in una
malformazione dell�embrione che si intendeva eliminare, e che di fatto
giustificava la somministrazione di un intervento �terapeutico�. Per il
resto, si trattava di due esseri collocati sul medesimo livello biologico,
nonch� ontologico (in una buona ontologia una malformazione � accidentale
rispetto alla determinazione che viene dall�essenza). A questo punto si
tratta di scegliere: o entrambi gli embrioni erano esseri umani,� oppure
nessuno dei due lo era. In quest�ultima, deprecabile, ipotesi, la vicenda
non avrebbe meritato la mobilitazione della sensibilit� pubblica. Ma
nessuno, ringraziando il Cielo, si sogna di affermarlo.
Se invece si trattava di due esseri umani,
la tragedia deve essere ricondotta nelle sue dimensioni reali. Ed � la
tragedia di una persona cui viene negata la vita perch� inadatto. In questo
caso l�esito di un aborto deve necessariamente e in ogni caso essere
tragico. Un aborto � un aborto, sia che il feto soppresso sia malformato,
sia che goda di ottima salute. � la prassi a costituire un problema, non i
suoi effetti indesiderati.
Anche quando il feto rappresentasse una
minaccia per la salute psico-fisica della madre, l�intervento rimarrebbe
comunque l�omicidio di un essere umano, magari per legittima difesa, ma pur
sempre un omicidio. Certo, la salute della madre deve essere tutelata, ma un
aborto rimane una profonda ferita che non pu� essere occultata neanche
dall�impersonale e tranquillizzante categoria di �terapia�. Non vedere
questa problematica significa perdere il senso della realt�, seria malattia,
questa s�, ma dell� intelletto.
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