IL CAPITALE DEL POVERELLO

(una versione ridotta del presente articolo è apparsa su Avvenire del 21 giugno 2008)

 di Flavio Felice

 
In un recente saggio Rodney Stark sostiene che la tesi secon­do la quale il capitalismo sareb­be nato nel mondo protestante è stata da tempo abbandonata dagli storici del pensiero economico; anzi, va molto oltre le critiche cor­renti che anche in Italia molti stu­diosi rivolgono alle tesi di Max We­ber. Da una parte, sostiene che il cattolicesimo è alle origini non so­lo del capitalismo, ma anche della scienza e della nozione di libertà personale, e dall'altra, semmai il protestantesimo avrebbe danneg­giato l'economia moderna nascen­te e ne avrebbe ritardato il progres­so. Se le analisi di Stark rivoluzio­nano le spiegazioni più comuni su un Medioevo come periodo di de­cadenza o di stasi, la ricerca di Ore­ste Bazzichi: Oltre l'usura. L'etica e­conomica della Scuola francescana, dimostra, documenti alla mano, che non è stata la con­trapposizione tra la società laica e quella religiosa, ma la teologia cri­stiana, che ha aperto la strada alla libertà, alle innovazioni intellettua­li, antropologiche, economiche, politiche e sociali. È stata una feli­ce intuizione di Lord Acton quella di ascrivere al cristianesimo il me­rito di aver introdotto nella storia quel dualismo tra stato e Chiesa che costituì un'autentica garanzia di libertà, che si manifestò in mo­do particolare durante il Medioe­vo. Nel suo più recente lavoro, il Bazzichi analizza l'ampia serie di fonti della Scuola francescana me­dievale e tardo-medievale, sottoli­neandone la modernità della visio­ne economica: circolazione e pro­duttività del denaro, regolamenta- zione del mercato, legittimità della mercatura, investimento sociale della ricchezza, accumulazione produttiva. La figura del mercante operoso è valutata positivamente nella misura in cui contribuisce al­la crescita del bene comune citta­dino, mentre la ricchezza o l'accu­mulazione infruttuosa - le rendite parassitarie - è sterile e negativa.
 Ciò comporta che i mercanti, secondo il frate francescano Pietro di Giovanni Olivi, provvedono «indiscutibili vantaggi e cose necessarie che provengono alla comunità dal­le azioni e dal mestiere del mer­cante e, insieme con ciò, dal peso delle fatiche, dai rischi, spese, in­ene dustrie e dalle attenzioni sollecite e insonni che tale ufficio esige». A questo proposito, c'è stato chi - da De Roover, Schumpeter, Rothbard, Chafuen a Antiseri - ha inteso leg­gere negli scritti del frate provenza­le il tentativo di una embrionale descrizione analitica dei processi di mercato che, a partire da una teoria soggettiva del valore che an­ticipa di circa seicento anni la rivo­luzione marginalista, lo condurrà ad affermare che il prezzo corrente (di mercato) corrisponderebbe al 'bene comune'. È un fatto che l'O­livi condanna il prezzo di monopo­lio e le esazioni dei prezzi effettua­te approfittando di eventuali stati di necessità e lega la nozione di 'prezzo giusto' all'utilità oggettiva: virtuositas, alla scarsità del bene: raritas e alla sua desiderabilità, os­sia all'utilità soggettiva: complaci­bilitas, oltre che ad altri elementi riconducibili al costo di produzio­ne.

Non mancano coloro che han­no evidenziato il paradosso: il fran­cescano distingue il necessario dal superfluo, ma valorizza il denaro fruttuoso; apre un acceso dibattito sulla povertà assoluta di Cristo e gli Apostoli, ma considera i mercanti onesti 'esperti di ricchezza' e 'be­nefattori' del benessere della co­munità; sottolinea la distinzione del credito cristiano, in quanto o­rientato alla produzione, dall'usu­ra che sfrutta e uccide i bisognosi; differenzia il concetto tra 'usura' e 'interesse', dove l'interesse diven­ta un profitto moderato ma neces­sario, e il prezzo di mercato diven­ta la base di riferimento per il 'giu­sto prezzo' del prestito; condanna il prestito usurario (esoso), ma fon­da la 'reciprocità economica soli­dale' con la geniale intuizione dei Monti di Pietà, promuovendo la circolazione del denaro; chiarisce la differenza fra lusso e giusto uso dei beni, nell'orizzonte del bene comune, che richiede non una mera enunciazione di intenzioni, ma una organizzazione politico­sociale che lo sostenga e lo renda concretamente possibile. Insom­ma, i francescani, fautori della po­vertà volontaria, diventano, para­dossalmente, i 'teorici' dell'ordine di mercato. Merito di Oreste Bazzi­chi è stato di avere sottolineato il nesso tra società civile e sistema e­conomico, evidenziando come il collegamento tra competizione e società civile non sia stata una de­generazione della cultura occiden­tale post-fordista, quanto un ele­mento imprescindibile della tradi­zione e della cultura romano-cri­stiana.

 

Oreste Bazzichi

OLTRE L'USURA

L'etica economica della Scuola francescana

Effatà. Pagine 144. Euro 13,00

storia

 

Cadendo negli studi recenti l'associazione fra capitalismo e protestantesimo fatta da Max Weber, ora un saggio trova le radici dell'imprenditoria moderna addirittura nel francescanesimo



 


                                                              

vai indietro