Perchè i laici hanno abbandonato il diritto naturale?

di Rocco Buttiglione

(pubblicato sul numero di agosto/settembre 2007 di Formiche)

 

Di diritto naturale di questi tempi si parla molto. Talvolta a proposito, più spesso a sproposito. Per capire partiamo da una definizione di S. Tommaso d’Aquino “Lex est quaedam regula et mensura humanorum actuum quae servata societatem servat, corrupta corrumpit”.

Traduciamo: “La legge (naturale) è una giusta regola a misura degli atti umani. Se la osserviamo la società fiorisce, se non la osserviamo la società va in rovina”.

Facciamo un esempio: se in una società tutti decidessero di non pagare le tasse quella società andrebbe in rovina. Facciamo un altro esempio: se in una società non ci fossero più famiglie non nascerebbero più bambini. I pochi che nascessero non verrebbero educati e con buona probabilità diverrebbero dei delinquenti e la società si dissolverebbe. Corrisponde alla natura della società umana che le tasse debbano essere pagate e che la formazione delle famiglie venga facilitata.

Si può argomentare contro la regola di diritto naturale qui formulata sulla famiglia? Certo che si può. Si può dire che i bambini possono benissimo nascere ed essere educati fuori dalla famiglia. La tesi è stata sostenuta da molti e fino ad ora contraddetta dall’esperienza storica. Il fatto comunque che la tesi possa essere contraddetta, almeno in teoria, ci insegna che il diritto naturale non è un codice fisso e predeterminato. Il diritto naturale è oggetto di discussione. Esso è, in un certo senso, una regola dell’argomentazione. Discutere in termini di diritto naturale significa domandarsi continuamente se una norma sia compatibile con l’esistenza ed il buon funzionamento della società. Significa domandarsi se una norma sia giusta. In questo senso non esiste necessariamente una contraddizione di principio fra l’etica trascendentale di Kant ed il diritto naturale. Quando Kant dice “fa’ in modo che la regola della tua azione possa valere come norma di legislazione universale” formula la regola più generale dell’argomentazione sul diritto naturale.

Mi pare chiaro, dalle cose dette, che è quanto meno caricaturale l’idea di un diritto naturale che si oppone alla ragione umana ed è imposto dalla Chiesa Cattolica contro la ragione e contro la libertà degli uomini. Certo, la Chiesa Cattolica difende il diritto naturale ed argomenta in termini di diritto naturale, è interprete del diritto naturale.

Questo non vieta ad ogni essere umano dotato di ragione di argomentare anche lui in termini di diritto naturale.

Vi sarà un conflitto di interpretazioni? È possibile, ma vi sarà anche una regola per risolvere il conflitto argomentando in termini di logica e di esperienza. Alcuni oppongono alla teoria del diritto naturale la tesi di David Hume secondo la quale non vi è un ponte che consenta di passare da affermazioni di fatto ad affermazioni di valore.

L’obiezione è irrilevante. Accettiamo pure per buona la tesi di Hume. Il diritto naturale non deduce valori da fatti, ma lega fra loro secondo regole di ragione e di esperienza dei fatti. Se non nasceranno più bambini la società si estinguerà. Chi vuole, naturalmente, può dare un giudizio di valore positivo sul fatto che l’umanità si estingua o può anche in generale preferire il nulla all’essere.

Tuttavia l’affermazione che la inosservanza della regola di diritto naturale porta all’estinzione della società umana rimane valida anche per coloro che ritenessero un bene la fine dell’umanità.

Il diritto naturale è un diritto laico e non confessionale. Non solo questa conclusione risulta dalla natura razionale del diritto naturale ma anche confermata dalla storia. Tutto (o quasi) l’illuminismo argomenta in termini di diritto naturale. In nome del diritto naturale si è fatta la rivoluzione americana, ed anche la rivoluzione francese. Queste rivoluzioni hanno opposto il diritto naturale a leggi positive ingiuste ed anche a (presunte) leggi rivelate divine contrarie alla ragione. Da Barbeyrac a Montesquieu, da Richard Hooker a Locke, da Leibniz a Wolff, solo per citare alcuni nomi delle principali tradizioni nazionali europee, tutti costoro hanno argomentato in termini di diritto naturale. Tutti cattolici bigotti? Pare difficile sostenerlo. In tutti questi autori le teorie del diritto naturale sono state anche teorie dei diritti individuali e della limitazione del potere dello Stato.

Due sono stati storicamente gli avversari del diritto naturale. Da un lato la teoria del potere assoluto dello Stato per cui la volontà del legislatore prevale sulla natura delle cose. Dall’altro il marxismo che non poteva digerire l’idea che la proprietà privata dei mezzi di produzione fosse un diritto naturale dell’uomo. Per il marxismo la natura dell’uomo cambia nel tempo e ad una fase storica dominata dal modo di produzione borghese, in cui la proprietà privata (ed anche il sistema dei diritti individuali in generale) appare naturale deve succedere una nuova fase storica dominata dalla proprietà collettiva dei mezzi di produzione, in cui l’uomo non si concepisce più come soggetto di libertà individuale ma solo come parte del collettivo. Per la verità nel marxismo un qualche residuo di diritto naturale permane. Permane una natura delle cose, pur se essa varia nel tempo. Così la proprietà privata ed i diritti individuali sono naturali nella fase borghese della storia dell’umanità proprio come la proprietà collettiva è naturale nella fase socialista della medesima storia.

Dopo la prima guerra mondiale la rivoluzione comunista instaura la proprietà collettiva nell’Unione Sovietica. In Austria invece si afferma un governo socialdemocratico che fa approvare una costituzione che non è socialista ma neppure liberal-capitalista. Questa costituzione registra un equilibrio di forza delle classi, in cui nessuna è in grado di far prevalere la sua idea di “natura”.

È questo il clima culturale in cui matura l’opera di Hans Kelsen. Per Kelsen proprio l’equilibrio di forza fra le classi (il Gleichgewicht der Klassenkragte teorizzato da Max Adler e da Otto Bauer) consente alla categoria della giuridicità di emanciparsi dalla soggezione rispetto alla base economica ed in generale all’idea di natura. Nasce così la teoria pura del diritto (Die reine Rechtslehre, titolo di un’opera famosa di Kelsen). Ci si potrebbe domandare se questa visione regga dopo il crollo del comunismo, e ci si potrebbe anche domandare se i giuristi che la maneggiano come se con Kelsen iniziasse la storia del pensiero giuridico siano sufficientemente consapevoli della sua radice storica.

Contemporaneamente Carl Schmitt sviluppava una forma diversa, opposta e pur analoga di arbitrarismo giuridico. In un mondo in cui non si riesce a trovare un accordo sulla natura delle cose il diritto non può essere interpretazione e mediazione che riconduce la diversità degli interessi ad una regola di bene comune. Il diritto può essere solo decisione (Entscheidung) che taglia dal corpo della società chi non consente qualificandolo come nemico.

In conclusione: la grande stagione del diritto naturale nei secoli XVII e XVIII nasce proprio per mediare attraverso l’esercizio della ragione le guerre di religione fra cattolici e protestanti nate dall’opposizione di leggi divine rivelate diverse o almeno interpretate in modo irriducibilmente diverso. Essa entra in crisi davanti ai totalitarismi moderni, che ripetono su scala ingrandita gli orrori delle guerre di religione sulla base di messianismi laicizzati ed atei.

Rimane una domanda: come mai una parte così grande del pensiero laico contemporaneo ha smarrito l’idea di diritto naturale fino a regalare sommariamente il diritto naturale alla Chiesa Cattolica? La domanda è interessante ma questo articolo è già troppo lungo. Ci torneremo sopra, forse, in una prossima occasione.

 

 


                                                              

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