
Nuove flessibilit� retributive per il lavoro del XXI secolo�
di
Luigi Battista
�
Nel
1939, Gilberto Mazzi cantava �se potessi avere mille lire al mese, senza
esagerare sarei certo di trovare tutta la felicit��. Sono passati diversi
anni ma, ancor oggi, tantissimi lavoratori potrebbero intonare il ritornello
di quella fortunata canzone.
A
quell�epoca il contratto collettivo di lavoro era incluso nell�art. 1 delle
preleggi del codice civile e costituiva fonte di diritto.
Con
l�avvento della costituzione repubblicana esso � diventato espressione del
potere determinativo delle parti sociali.
Il
contratto collettivo nazionale parametro, per oltre mezzo secolo, anche grazie
all�accordo interconfederale del 1993, ha garantito una retribuzione tale da
assicurare un�esistenza libera e dignitosa per il lavoratore e la sua
famiglia.
Ma
come tutti gli atti umani, anch�esso mostra il segno del tempo e per una
pluralit� di ragioni necessita di revisioni.
Ci�
nonostante la felice intuizione di valorizzare il ruolo della contrattazione
collettiva integrativa. Essa infatti, non ha raggiunto gli obiettivi pregevoli
cui mirava perch� il cosiddetto salario di produttivit� che avrebbe dovuto
incidere sulle retribuzioni dei dipendenti non � stato attuato in tutte le
aziende n� su tutto il territorio nazionale. In particolare, ha coinvolto solo
le aziende con pi� di 100 dipendenti ed � stato quasi del tutto assente nelle
zone del centro � sud Italia.
A
questa scarsa effettivit� della contrattazione collettiva s�� aggiunta
un�eccessiva pressione fiscale sui redditi da lavoro dipendente che utilizza
come unit� di misura il principio di onnicomprensit� secondo il quale tutto
ci� che viene percepito in occasione del rapporto di lavoro � soggetto a
prelievo fiscale e previdenziale.
E�
questa una politica tributaria che tradisce il principio costituzionale del
favor che trova cittadinanza anche con riferimento ai redditi da lavoro
dipendente ed in base al quale, in ossequio al principio della discriminazione
qualitativa, i redditi da lavoro dipendente devono subire una tassazione
inferiore e non un inasprimento fiscale.
La
riforma delle retribuzioni �, quindi, inestrinsecabilmente legata alla riforma
della contrattazione collettiva ed alla detassazione del lavoro dipendente. Si
tratta di una priorit� non procrastinabile ulteriormente.
La
riforma della contrattazione collettiva e della retribuzione sono questioni
che devono necessariamente essere trattate congiuntamente. La storia insegna
infatti che, accordi concertativi pur lodevoli (vedi il patto di Natale), sono
destinati a restare lettera morta se non accompagnati da coerenti interventi
di politica economica.
La
strada da seguire � quella di sempre. La volont� sovrana manifestata nei
regolamenti negoziali espressi dai portatori di interessi collettivi, ovvero
nei contratti collettivi, deve restare centrale nella determinazione della
struttura delle retribuzioni. Occorre, per�, ridistribuire meglio le materie
retributive e cio�, stabilire quali debbano spettare alla contrattazione
collettiva nazionale e quali alla contrattazione integrativa.
Un
esempio che ha dato risultati efficaci viene dal contratto collettivo degli
operai agricoli del 1995 nel quale una parte del sindacato (la Fai e la Uila
sottoscrissero, mentre la Flai CGIL si rifiut�) ha saputo imporre e realizzare
un vero federalismo retributivo affidando al contratto collettivo nazionale la
determinazione del salario minimo e demandando alla contrattazione collettiva
di secondo livello la materia del rinnovo biennale economico, prima di
competenza del contratto collettivo nazionale di lavoro, nonch� la
retribuzione incentiva.
Questa opzione del Sindacato Agroalimentare deriva da una giusta e corretta
interpretazione del fenomeno dell�esiguit� delle retribuzioni: sempre pi�
spesso per determinare quella giusta si � dovuto fare riferimento alle reali
condizioni del mercato ed alla situazione locale del mercato.
Quest�analisi fa emergere l�esistenza di
ambiti territoriali disomogenei nel nostro ordinamento in termini di viluppo
economico e costo della vita. La contrattazione collettiva nazionale cos� come
concepita oggi pu� dare origine a macroscopiche discrasie poich� ci� che
appare sufficiente in alcune zone di alto reddito, diventa esorbitante in zone
a pi� basso reddito.
E'
una questione tipica di dimensione degli
interessi da privilegiare.
Chi ritiene prioritaria la conservazione
di un interesse comune dei lavoratori pi� ampio possibile per una
corrispondente solidariet� e capacit� di mobilitazione, � favorevole
all�accentramento regolativo del contratto nazionale.
Al contrario, chi avverte i costi della
soffocante uniformit� normativa, semplicemente non pi� sostenibili in
un�economia esposta ad una competizione globale, � favorevole ad un
decentramento regolativo da realizzarsi mediante la valorizzazione
dell�autonomia collettiva.
Quanto alla retribuzione, � errata l�idea
per cui la giusta retribuzione per garantire un�esistenza libera e dignitosa
debba essere necessariamente fissata a livello nazionale e non a livello
territoriale od aziendale.
E� vero, invece, che la valutazione di
sufficienza non pu� prescindere dal diverso costo della vita e dalla diversa
possibilit� di soddisfazione dei bisogni nei diversi ambiti territoriali.
Peraltro, sulla medesima valutazione pu� anche incidere l�interesse
all�occupazione e, quindi, alla conservazione o creazione dell�impresa in
determinate situazioni, come gi� riconosciuto dalla legge per i contratti di
riallineamento.
Questi alcuni stimoli che, se colti ed
elaborati, potrebbero contribuire a dare una risposta a chi chiede un
retribuzione giusta per un�esistenza libera e dignitosa.
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