Le virtù politiche necessarie per la crescita e lo sviluppo locale

di Fabio G. Angelini

 

Le èlites politiche locali si trovano oggi ad operare in un contesto istituzionale profondamente mutato rispetto al passato. Se questo è vero in termini assoluti, è vero anche che spesso capita di incontrare amministratori locali, dirigenti e funzionari comunali che danno l’impressione che nulla sia cambiato o quasi, per i quali, quelle logiche burocratico/politiche che animavano uno scenario istituzionale completamente diverso, continuano ad essere valide ed attuali anche oggi.

È mutato il disegno complessivo dell’amministrazione italiana. Si è passati da un modello di government, in cui prevaleva una logica di coordinamento ed integrazione di tipo top-down, basata sull’imposizione di norme e su forti relazioni gerarchice, ad uno di governance in cui, al contrario, risulta essenziale e critica la capacità di creare consenso, condivisione e convergenza di interesse sulle soluzioni proproste.

Lo sviluppo economico di un territorio, in un contesto di governance, tende sempre più ad essere il risultato di una programmazione economica efficiente, tempestiva e coerente con le esigenze dell’area geografica di rifermento, capace di conseguire gli obiettivi strategico-politici assegnati attraverso un efficace ed efficiente coordinamento dei diversi interventi pubblici.

I principali indicatori economici del 2006 mostrano segnali di crescita incoraggianti per il nostro Paese e, per il 2007, ci si attende un risultato altrettanto positivo grazie all’aumento delle esportazioni e degli investimenti. È innegabile che tale risultato lo si deve in gran parte alle imprese. Gli imprenditori sono tornati a credere nel futuro, ad investire e a rischiare, ad innovare i propri prodotti, a ricercare nuove strategie commerciali, in altri termini, a competere.

Se il mondo delle piccole e medie imprese è tornato ad essere dinamico e creativo, riacquistando fiducia in se stesso ed affrontando con nuovo spirito la competizione globale, lo stesso non può dirsi della politica e delle istituzioni.

Pur essendo un fenomeno largamente generalizzato, specie in alcune aree meridionali del Paese, gli enti locali peccano di eccessivo immobilismo, scarsa creatività e ancor più scarsa propensione al rischio, laddove per rischio deve intendersi la capacità degli amministratori locali di esprorre i propri programmi e di operare per la loro realizzazione sottoponendone i risultati ai cittadini.

Gli enti locali, ed in particolar modo i comuni, a differenza che in passato rivestono oggi un ruolo centrale rispetto alle problematiche di sviluppo. Essi dispongono delle leve fondamentali per la crescita economica e sociale di un sistema locale, hanno la possibilità di prendere le decisioni che riguardano il territorio e il suo utilizzo, ridefinendo le problematiche di sviluppo in funzione delle istanze sociali e costruendo il consenso necessario intorno ai processi di pianificazione, trasformazione e gestione delle aree che li riguardano.

La valorizzazione del territorio e la ricerca del suo corretto sviluppo rappresentano quindi  temi centrali sui cui la politica locale è chiamata ad interrogarsi e su cui dovrebbe focalizzare la propria azione. Per attivare il circolo virtuoso dello sviluppo economico locale, gli enti locali dovrebbero assumere il ruolo di snodo centrale per la raccolta delle istanze sociali e per la programmazione, e di soggetto trainante nei rapporti con le imprese, le banche e gli attori istituzionali.

Pertanto, il compito delle èlites politiche locali è quello di operare affinchè gli enti locali divengano sempre più “forti” e “autorevoli”, capaci di fare le scelte che gli competono nell’interesse pubblico, valorizzando l’autogoverno e la concertazione, ed interfacciandosi costruttivamente con gli altri attori dello sviluppo locale.

Ridisegnare il ruolo e le funzioni degli enti locali in termini di soggetti regolatori del sistema economico locale e, nel contempo, perseguire politiche di programmazione capaci di creare sviluppo, in un quadro politico-istituzionale frammentato e asettico come il nostro, non è privo di difficoltà e di costi di natura politica. Tali politiche, infatti, passano per il definitivo abbandono di quella cultura provinciale ed interventista che anima ancora gran parte delle classi dirigenti locali; per l’adozione di metodi moderni di analisi delle priorità di sviluppo; per una diffusa rappresentanza e partecipazione; per la promozione del merito e della competenza; e soprattutto, per l’effettiva volontà politica di definire in un tavolo comune le strategie  di sviluppo locale rimettendo ad esso poteri e prerogative di governo.

Si tratta di condizioni necessarie e non negoziabili per assicurare la crescita e lo sviluppo economico dei territori. Sono condizioni che richiedono una èlite politica illuminata, responsabile e capace di guardare al futuro e di innovare anche rischiando in prima persona. È evidente però, che solo una classe dirigente in grado da un lato, di porre al centro dei sistemi locali la concorrenza e la ricerca dell’efficienza attraverso la competizione e, dall’altro, di assegnare alle istituzioni locali il ruolo di arbitro, di garante, di regista del sistema e di stimolo alla concorrenza, sarà in grado di offrire ai territori condizioni durevoli di sviluppo e, ai cittadini-elettori, quel benessere spesso soltanto annunciato nei programmi elettorali di destra e di sinistra.

 

 


                                                              

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