Perchè è sbagliato tendere la mano ad Hamas

di Angelo Costa

 

Riconosco al ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, una certa scaltrezza ed una certa astuzia, ma certamente, nella recente dichiarazione su Hamas, ha peccato di ingenuità o quanto meno di faciloneria: mantenere i rapporti internazionali non è cosa facile, ne tanto meno potrà rivelarsi, col passare del tempo, gratificante per un Paese dalla nobilissima tradizione democratica come l’Italia, strizzare l’occhio ad Hamas e cercare di tenersi buoni gli Stati Uniti.

In politica estera occorre serietà e determinazione e questo, forse, sembra essere venuto meno al nostro ministro quando ha dichiarato che «È sbagliato regalare ad Al Qaeda movimenti come Hamas e Hezbollah. Hamas si è reso protagonista di atti terroristici, ma è anche un movimento popolare: per l'Occidente non riconoscere un governo eletto democraticamente, magari mentre andiamo a braccetto con qualche dittatore, non è una straordinaria lezione di democrazia (...) E’ interesse della comunità internazionale – ha continuato D’Alema alla festa dell'Unità a San Miniato il 16 luglio - evitare di spingere questi movimenti nelle braccia di Al Qaeda».

Caro Ministro, verrebbe da dire: i terroristi sono terroristi e basta, e con chi sceglie la strada del terrorismo un Paese come l’Italia, nato dalla resistenza e dai valori del risorgimento e del movimento cattolico, non può e non deve discutere. Se ‘democraticamente’, come dice D’Alema, ma questo è tutto da vedere, un popolo sceglie il terrorismo, non perchè sia espressione popolare sia questo garanzia di futuri dialoghi: anche i popoli possono sbagliare e scegliere in alcuni momenti storici derive che dietro la parvenza democratica nascondono deviazioni politiche e sociali pesanti ed Hamas è classificata dagli USA e dall’Europa come movimento terroristico... più deviazione di questa!

La parola democrazia non può essere abusata: d’altra parte è D’Alema stesso ad ammettere  che Hamas si è reso protagonista di atti terroristici, quindi: che nesso c’è tra il terrorismo e la democrazia? E’ allarmante che un ministro degli Esteri non abbia ancora le idee chiare in materia.

E poi, sinceramente, non ci sarebbe di che preoccuparsi se Hamas finisse nelle mani di Al-Qaeda, perchè nelle mani di Al Qaeda ci finisce chi condivide gli stessi percorsi, gli stessi ideali, quindi se il percorso di Hamas dovesse portare ad Al Qaeda è perchè Hamas è quanto meno vicina, sotto tanti punti di vista, ad Al Qaeda. Anche se dalle ultime dichiarazione di accusa del presidente dell'Anp Abu Mazen che afferma che il movimento di Hamas starebbe proteggendo Al Qaeda e le starebbe permettendo di infiltrarsi nella Striscia di Gaza, Hamas sarebbe già una costola di Al Qaeda.

Ma cerchiamo di vedere, da un punto di vista storico, perchè il nostro Ministro degli Esteri ha peccato di eccesso di equilibrismo pseudopolitico, con una dichiarazione che non porterà da nessuna parte, se non nel fare confondere i contorni identitari del nostro Paese agli occhi del mondo intero.

Hmās, acronimo di Hrakat al-Muqāwwama al-Islāmiyya (in arabo: حركة المقاومة الاسلامية, "Movimento di Resistenza Islamico", ovvero حماس, "entusiasmo, zelo") è un'organizzazione religiosa islamica palestinese di carattere paramilitare e politico. Gli Stati Uniti e l'Unione Europea la catalogano ufficialmente come organizzazione terrorista.

E’ risaputo che gran parte della popolarità e del consenso di cui amās gode, e che D’Alema vede come frutto di ‘democrazia’, è dovuta, anche e soprattutto, agli attacchi contro i civili: basti ricordare che i terroristi di Hamās, specialmente quelli delle Brigate 'Izz al-Din al-Qassām, hanno sferrato numerosi attacchi tra cui alcuni attacchi suicidi di larga scala contro obiettivi civili israeliani. In questa sede ci limitiamo a citare i più noti: il massacro di Pesach nel marzo del 2002, in cui 30 persone furono uccise a Netanya; il massacro sull'autobus numero 20 di Gerusalemme nel novembre dello stesso anno 2002 (11 morti); il massacro sull'autobus numero 2 di Gerusalemme nell'agosto del 2003 (23 morti); e la lista potrebbe andare avanti.

Massimo Introvigne, direttore a Torino del Centro Studi sulle Nuove Religioni, alla domanda su che cosa fosse il movimento di Hamas ha dato una risposta esaustiva e puntuale anche da un punto di vista storico: «Hamas è parte di una grande galassia internazionale, il fondamentalismo musulmano, che influenza milioni di persone. È il ramo palestinese del movimento fondamentalista dei Fratelli Musulmani, fondato in Egitto nel 1928 da Hassan al-Banna. Nel 1954, il presidente egiziano Nasser lo mise fuori legge e lo perseguitò, un fatto che produsse una marcata divisione interna.

Da una parte c’è una corrente radicale che è fedele alla formula leninista del “coup d’état”. Dall’altra c’è una corrente neotradizionalista, che cerca di islamizzare la popolazione alla base. È una specie di visione gramsciana, che mira a prendere il potere ma vuole anzitutto conquistare la società, promuovendo sindacati musulmani, scuole musulmane, giornali musulmani.

Nel 1957, la direzione dei Fratelli Musulmani in Palestina si schierò con la posizione neotradizionalista, cessò ogni attività militare, fermò gli attacchi organizzati e si dedicò a raddoppiare il numero delle moschee presenti nella striscia di Gaza e nei Territori.

Diede vita a una rete di istituzioni fondamentaliste villaggio per villaggio, zona per zona. Tra il 1957 e il 1987 l’attività terrorista e armata in Palestina era legata ai nazionalisti laici di Fatah e di altre componenti dell’Olp.

L’intifada scoppiò nel 1987 in un momento di debolezza dell’Olp. Allora, i Fratelli Musulmani decisero che le operazioni neotradizionaliste erano state un successo e che una fase radicale di lotta armata poteva iniziare. La rete musulmana era forte in tutta la Palestina. Hamas coniò per sé un nome che in arabo significa “fervore” e che, nello stesso tempo, è l’acronimo di Movimento di Resistenza Islamica».

E’ interessante, dopo questa nota storica, leggere alcuni passi dello Statuto che il Movimento di Resistenza Islamico (Hamas) si è dato nel 1988: vi si coglieranno elementi allarmanti che non sono suscettibili di interpretazioni e che danno la dimensione della pericolosità del movimento in termini anche di lotta armata, ed ancora di più tali preoccupazioni aumentano quando un ministro “pacifista” come D’Alema tende la mano a frange simili del mondo islamico.

Nello Statuto, definito da Introvigne “un documento che stabilisce una lotta inestinguibile fino a che Israele sia ricacciato in mare”, si legge nei primi righi: “Israele sarà stabilito, e rimarrà in esistenza finché l’Islam non lo ponga nel nulla, così come ha posto nel nulla altri che furono prima di lui” (parole dell’imam e martire Hassan al-Banna [fondatore dei Fratelli Musulmani, 1906-1949], possa Allah avere misericordia di lui). Già questo è allarmante.

Di seguito riportiamo alcuni brani tratti dallo Statuto, numerati casualmente da chi scrive, in cui graficamente, senza alcun commento perchè sarebbe del tutto superfluo, evidenzieremo le parole inquietanti: 

1) Il Movimento di Resistenza Islamico è emerso per rispondere alla sua vocazione, che è quella di combattere per l’onore del Signore. Il movimento ha stretto la mano a tutti i combattenti che lottano per liberare la Palestina. L’anima dei suoi guerrieri si è unita alle anime di tutti i combattenti che hanno sacrificato le loro vite nella terra di Palestina fin da quando fu conquistata dai compagni del Messaggero di Allah – possano le preghiere e la pace di Allah rimanere con lui – fino ai giorni nostri.

2) La nostra battaglia con gli ebrei è molto lunga e pericolosa, e chiede la dedizione di tutti noi. È una fase cui altre successive ne seguiranno, un battaglione che dovrà essere sostenuto da molti altri battaglioni del mondo arabo e islamico, oggi diviso, finché il nemico sia vinto e la vittoria di Allah sia sicura.

3) Il Movimento di Resistenza Islamico è uno degli anelli della catena del jihad nella sua lotta contro l’invasione sionista. È legato all’anello rappresentata dal martire ‘Izz-Id-Din al-Qassam e dai suoi fratelli nel combattimento, i Fratelli Musulmani del 1936. E la catena continua per collegarsi a un altro anello, il jihad degli sforzi dei Fratelli Musulmani nella guerra del 1948, nonché le operazioni di jihad dei Fratelli Musulmani nel 1968 e oltre.

Benché gli anelli siano distanti l’uno dall’altro, e molti ostacoli siano stati posti di fronte ai combattenti da coloro che si muovono agli ordini del sionismo così da rendere talora impossibile il perseguimento del jihad, il Movimento di Resistenza Islamico ha sempre cercato di corrispondere alle promesse di Allah, senza chiedersi quanto tempo ci sarebbe voluto.

4) Il Profeta – le preghiere e la pace di Allah siano con Lui – dichiarò: “L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me – vieni e uccidilo; ma l’albero di Gharqad non lo dirà, perché è l’albero degli ebrei” (citato da al-Bukhari e da Muslim).

5) Secondo il Movimento di Resistenza Islamico, il nazionalismo è parte legittima del suo credo religioso. Nulla è più vero e profondo nel nazionalismo che combattere un jihad contro il nemico e affrontarlo a viso aperto quando mette piede sulla terra dei musulmani. Questo diventa un obbligo individuale per ogni uomo e donna musulmani: alla donna è permesso combattere il nemico anche senza l’autorizzazione del marito, e allo schiavo senza il permesso del padrone.

6) Le iniziative di pace, le cosiddette soluzioni pacifiche, le conferenze internazionali per risolvere il problema palestinese contraddicono tutte le credenze del Movimento di Resistenza Islamico. In verità, cedere qualunque parte della Palestina equivale a cedere una parte della religione. Il nazionalismo del Movimento di Resistenza Islamico è parte della sua religione, e insegna ai suoi membri ad aderire alla religione e innalzare la bandiera di Allah sulla loro patria mentre combattono il jihad.

7) Non c’è soluzione per il problema palestinese se non il jihad. Quanto alle iniziative e conferenze internazionali, sono perdite di tempo e giochi da bambini.

8) Quando i nemici usurpano un pezzo di terra musulmana, il jihad diventa un obbligo individuale per ogni musulmano. Di fronte all’usurpazione della Palestina da parte degli ebrei, dobbiamo innalzare la bandiera del jihad. Questo richiede la propagazione di una coscienza islamica tra il popolo a livello locale, arabo e islamico. È necessario diffondere lo spirito del jihad all’interno della umma, scontrarsi con i nemici, e unirsi ai ranghi dei combattenti.

9) La donna, nella casa e nella famiglia combattenti, si tratti di una madre o di una sorella, ha il suo ruolo più importante nell’occuparsi della casa e nell’allevare i figli secondo i concetti e i valori islamici, e nell’educare i figli a osservare i precetti religiosi preparandosi al dovere del jihad che li aspetta. Pertanto è necessario prestare attenzione alle scuole e ai programmi per le ragazze musulmane, così che si preparino a diventare buone madri, consapevoli del loro ruolo nella guerra di liberazione.

10) Come minimo, gli altri Stati arabi e islamici devono aiutare i combattenti concedendo loro libertà di movimento.

11) Questa è l’unica via alla liberazione. La testimonianza della storia non lascia dubbi. È una delle regole dell’universo, è una delle leggi dell’esistenza. Solo il ferro può spezzare il ferro, solo la vera fede dell’islam può sconfiggere la loro credenza falsa e corrotta.

Questi pochi punti scelti da chi scrive dovrebbero bastare, ma sull’accusa di terrorismo è ancora più chiaro Introvigne che afferma: «Hamas dedica molta attenzione a controbattere l’obiezione secondo cui il suicidio è contrario all’islam e pertanto gli attacchi suicidi non sono leciti per un musulmano. Hamas risponde che non si tratta di suicidio ma di martirio, e nella galassia fondamentalista trova personaggi che appoggiano questo suo ragionamento. Può essere spiacevole dire che i terroristi suicidi di Hamas sono motivati dalla religione. Ma è così! »

Sul Jerusalem Post dello scorso 4 luglio si legge: «Alcuni genitori palestinesi nella striscia di Gaza sono ai ferri corti con Hamas a causa dei campi estivi usati per addestrare i bambini all’uso di armi da guerra e di altri equipaggiamenti militari. Varie famiglie accusano anche Hamas di istigare i loro figli all’odio contro Israele e contro Fatah.(...) “L’addestramento militare – afferma un testimone – viene effettuato nelle prime ore del mattino. Ai bambini viene insegnato l’uso di mitra d’assalto Kalashnikov e altre armi. I supervisori di Hamas tengono anche a bambini e ragazzi delle lezioni durante le quali accusano Fatah di collaborazionismo con Israele e tradimento dei palestinesi. Citando frasi dal Corano, incitano gli allievi a uccidere i ‘traditori’. »

Basterebbe questo per definire sbagliate e gravi le parole del ministro D’Alema.

Che in futuro si faccia più attenzione, la dignità del nostro Paese va salvaguardata agli occhi del mondo, ed un Paese che tende la mano ai terroristi è un Paese che rischia di perdere non solo la dignità, ma anche la credibilità... e questo oggi l’Italia non può permetterselo!

 

 


                                                              

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