Riflessioni e commenti dei lettori

01-10-2007

Ho assistito in televisione ai funerali di Luciano Pavarotti, messa cantata inclusa. E mi sono venuti in mente, ugualmente suntuosi, i funerali del presidente Mitterrand (Parigi, fine 1995). Molte le analogie. Un arcivescovo celebrnte qui ed allora. Molta spettacolarità, molta commozione. Molte le presenze importanti, compreso il presidente Prodi, che ha parlato dal pulpito come un prete. Uno spettacolo da non perdere,semplicemente superbo. Ho goduto l,eulogia, gli inni, le musiche, gli omaggi al defunto, la sua beatificazione. Chi non vorrebbe un funerale così? Anch'io vorrei avere quegli onori, ma non li merito. Io infatti non ho come Pavarotti due mogli, presenti con le figlie avute da entrambe, in tempi diversi. Io ho una sola moglie, non sono divorziato, non ho come Mitterrand una figlia segreta, da esibire e raccomandare, fuori del matrimonio, l'unico che la Chiesa cattolica riconosce valido. E qui mi si ripropone il dubbio di allora: può uno sposato, divorziato e risposatosi civilmente, avere diritto alle esequie religiose? Se da vivo non poteva accostarsi al sacramento dell'Eucaresia, può essere così solennemente onorato da morto nella casa di Dio? Si può essere contemporaneamnte dentro o fuori della Chiesa, vivi o morti che siamo? Ricordo che Voltaire aveva lasciato scritto che lo seppellissero per metà dentro e per metà fuori della cattedrale di Parigi. Potevano farlo forse per Pavarotti. So di essere il solo a porsi queste domande. La gente, nel magnifico duomo di Modena, si è limitata ad applaudire (e, forse, anche a pregare).

Giacomo Zucchi
 

14-10-2007

Egr. Sig.ri Direttori del Centro Studi,

sono un frequentatore in internet di spazi culturali, che ahimè diventano sempre più rari, o meglio la pseudo cultura è diffusissima, ma veri spazi di cultura ad un certo livello sono veramente pochi.

Innanzi tutto scrivo per ringraziarvi per quanto fate per la cultura.

Cercando tempo fa notizie su Acton mi è apparso il vostro sito: ho letto con attenzione gli articoli del prof. Felice, di altissimo spessore, condivido quando dice: L’esigenza – anche pastorale – di operare un’attenta analisi dell’indispensabile “indicatore” che chiamiamo profitto (Centesimus annus, n. 35) emerge dalla constatazione che esso è stato spesso accostato agli aspetti più deleteri dell’agire umano, a tal punto che il suo perseguimento è divenuto spesso sinonimo di egoismo, di avidità e di individualismo. Esiste una ricca letteratura che testimonia come sin dal Medioevo l’arte della mercatura fosse formalmente connessa alla ricerca del profitto e di come ci fosse la consapevolezza che quest’ultimo potesse essere ricercato anche onestamente. Sulla stessa lunghezza d’onda si sintonizzava il Vescovo di Firenze Sant’Antonino e per San Tommaso tra i motivi che giustificano i profitti dobbiamo considerarne fondamentalmente cinque: provvedere alla famiglia del mercante; aiutare i poveri; stimolare il benessere del paese; remunerare il lavoro del mercante; migliorare la merce. Negli autori menzionati, dunque, il profitto appare come un fine immediato legittimo, mentre ciò che viene espressamente condannato è il considerare il profitto come un fine ultimo al quale sacrificare la moralità dell’azione; in tal caso è illegittimo, per usare le parole di un umanista del XV secolo, lo smodato ed improbo desiderio di possedere (Leonardo Bruni) e non il perseguimento del profitto, al quale scopo “è ordinata quest’arte mercantile […] à quest’opera de la consecuzione del fine, concorrerà come istrumento atto” (Cotrugli).

Ed ancora quando il prof Felice afferma che: Il governo delle tasse pensa che la Chiesa sia un'agenzia delle entrate!

Sottoscrivo la “ricetta federale del prof. Angelini per l’Italia basata su due ingredienti: contenimento del potere politico ed attuazione della sussidiarietà orizzontale, in cui le esigenze di sviluppo economico e di coesione e tutela sociale trovano eguale soddisfazione grazie al riconoscimento di maggiori ambiti di libertà e di azione alla società civile e ai corpi intermedi attraverso l’introduzione di strumenti capaci di scoraggiare un eccessivo interventismo pubblico e la concreta attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale”.

Condivido quanto scrive il dott. Angelo Costa sulle deliranti farneticazioni estive (e non solo aggiungo io)di Caruso e la sua rubrica di recensioni: la trovo ben fatta, sussurrata quasi ma incisiva, offre una lettura dei libri rasserenante, un vero invito alla lettura di questi tempi che non si legge più. Le recensioni in Italia sono quasi sempre contro qualcuno, in questo caso sembra che siano per qualcosa: per la cultura, per far crescere questo paese.

E da semplice osservatore della politica internazionale da più di 40 anni dico che fa bene la dott.ssa Alia Nardini a dire che nessun paragone puo farsi tra Vietnam e Iraq: Uno dei chiarimenti più illuminanti sulle modalità di intendere il supposto paragone tra due dei conflitti sinora rivelatisi tra i più amari per gli americani, paragone che come l’erba cattiva non esita a spuntare nei luoghi più disparati nonostante venga sistematicamente ed alacremente estirpato da molti studiosi, giunge da Christopher Hitchens. Il notissimo e provocatorio autore, giornalista e critico letterario anglo-americano scrive dalle pagine dell’Observer che, nonostante la propria dichiarata avversione per Bush e per all things Republican, la guerra in Iraq per deporre Saddam Hussein ed eliminare il suo regime dispotico è stata una decisione saggia. Ciononostante - anzi forse proprio per questo - il paragone tra Iraq e Vietnam non regge.

Grazie quindi giovani amici per quanto fate e continuate cosi, in Italia c’è bisogno di gente come voi!

Roberto Arcuri - Macerata

 

 

 

 

 

 

 

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