Recensione a Daron Acemoglu – James A. Robinson, Perché le nazioni falliscono. Alle origini di prosperità, potenza e povertà

di Flavio Felice - 26 settembre 2015



Pubblicata su ““Lateranum”, 2015, LXXXI, 1, pp. 165-168

La parola d’ordine per uno sviluppo dinamico e duraturo è inclusione; in definitiva, il filo rosso che lega tutta la riflessione di Papa Francesco sulla questione sociale e che esprime anche il ponte che unisce il Magistero sociale di almeno tre degli ultimi Pontefici. Includere significa condividere, partecipare, passare dalla condizione di estraneo e di disadattato a quella di integrato e di soggetto attivo; in pratica, significa passare dalla condizione di suddito a quella di cittadino sovrano.

A tal proposito, al centro dell’analisi sviluppata dall’economista Daron Acemoglu e dal politologo James A. Robinson, nel loro fortunatissimo libro Perché le nazioni falliscono, troviamo l’affermazione che la qualità inclusiva delle istituzioni economiche sarebbe all’origine della ricchezza di una nazione e che tale qualità dipenderebbe, a sua volta, dalla stessa delle istituzioni politiche, disegnando in tal modo il “circolo virtuoso” della prosperità.

La tesi che i nostri Autori intendono portare all’attenzione del lettore è che «I paesi del mondo hanno una diversa capacità di sviluppo economico per via delle loro differenti istituzioni, delle regole che influenzano il funzionamento dell’economia e degli incentivi che motivano i singoli individui» (p. 85). Per “estrattive” Acemoglu e Robinson intendono le istituzioni che comportano una realtà sociale fondata sullo sfruttamento della popolazione e sulla creazione di monopoli. Così facendo, riducono gli incentivi e la capacità di iniziativa economica della maggior parte della popolazione. Per “inclusive” si intendono invece le istituzioni che permettono, incoraggiano e favoriscono la partecipazione della maggioranza della popolazione ad attività economiche, facendo leva sui talenti e sulle abilità. I caratteri che definiscono la qualità inclusiva delle istituzioni sono il rispetto del diritto di proprietà privata, un sistema giuridico imparziale e una tale quantità di servizi, tale per cui ciascun cittadino possa godere di uguali opportunità di accesso ai processi democratici e di mercato.

Un presupposto fondamentale affinché le istituzioni inclusive emergano e prevalgano sulla tentazione neofeudale e servile di intraprendere il binario morto dello sviluppo oligarchico, tipico delle istituzione estrattive, è che le istituzioni economiche inclusive necessitano e si servono dei poteri pubblici: «Le istituzioni economiche, per essere inclusive, devono fondarsi sul godimento di diritti di proprietà sicuri e opportunità economiche da parte di un’ampia e trasversale porzione della società, e non solamente di una élite» (p. 87). In pratica, la garanzia dei diritti di proprietà, la legislazione, i servizi pubblici, la libertà negli scambi e nella stipula dei contratti sono tutte condizioni che dipendono dai poteri pubblici, il complesso delle istituzioni politiche che detengono il potere coercitivo. Ad ogni modo, per quanto tali elementi siano necessari, per Acemoglu e Robinson essi non sono ancora sufficienti a spiegare la qualità inclusiva delle istituzioni economiche. Affinché una comunità civile possa prosperare e funzionare nel migliore dei modi, sono altrettanto necessari alcuni servizi pubblici: le strade e le più avanzate reti di comunicazione, le infrastrutture e tutto ciò che consenta alle persone, alle merci e alle idee di circolare e alle attività economiche di emergere e di prosperare.

Uno dei fattori chiave che contribuisce all’emergere di istituzioni economiche inclusive è il contesto politico. Per contesto politico intendiamo il sistema politico istituzionale a cui spetta di stabilire le regole del gioco che “presiedono la struttura degli incentivi nell’ambito politico”. In definitiva, sono le regole che determinano come registrare la rappresentanza politica, come articolare la distribuzione del potere e delle competenze all’interno dello Stato; sono le regole che stabiliscono chi detiene il potere, come è detenuto, per quali fini ed entro quali limiti esso possa essere esercitato. Sono le regole che ci dicono se il potere è concentrato nelle mani di pochi, i quali operano senza limiti, ovvero se lo stesso è distribuito, diffuso e ordinatamente posto entro limiti costituzionali. Quando il potere è distribuito, non concentrato e soggetto a regole certe, allora abbiamo a che fare con un assetto politico istituzionale di tipo pluralista e l’esercizio del potere è gestito da una pluralità di fazioni e di gruppi aventi interessi contrastanti (rule of law).

Un assetto politico istituzionale è inclusivo nella misura in cui presenta i caratteri di sufficiente centralizzazione e di massima pluralità possibile, mediante un’articolazione sussidiaria del regime di governance poliarchica; qualora dovesse venir meno almeno uno di questi due elementi, avremmo a che fare con istituzioni politiche di tipo estrattivo. Tra istituzioni politiche e istituzioni economiche esiste un rapporto sinergico. Si pensi ad esempio a come le istituzioni politiche di tipo estrattivo concentrino il potere nelle mani di una ristretta cerchia di persone, le quali, a loro volta, concepiscono l’opportunità economica come una chance da garantire – in modo tendenzialmente monopolistico – ad alcune élite, affinché possano “estrarre” le risorse, che invece potrebbero e dovrebbero andare a vantaggio dei tanti, per il proprio esclusivo godimento. Acemoglu e Robinson sostengono che le istituzioni economiche estrattive altro non sono che il naturale complemento dei sistemi politici estrattivi, i quali si serviranno delle istituzioni economiche anche per la propria sopravvivenza politica. Di contro, le istituzioni politiche di tipo inclusivo, avendo come propria ragione sociale la distribuzione del potere, tendono a rendere la vita difficile alle istituzioni economiche estrattive.

A questo punto della discussione, possiamo affermare che la reciproca interferenza tra istituzioni politiche estrattive e istituzioni economiche estrattive sia all’origine di quel “circolo vizioso”, in forza del quale un determinato sistema politico istituzionale offre all’élite che detiene il potere gli strumenti per modellare a proprio uso e consumo le istituzioni economiche. Una classe politica che si nutre di un sistema istituzionale che non pone limiti alla sua volontà di potenza e che, in tal modo, ipoteca il proprio futuro, autodefinendosi necessaria e finendo per essere inamovibile. L’aver plasmato le istituzioni economiche a propria immagine e somiglianza farà sì che le istituzioni economiche estrattive arricchiranno l’oligarchia politica che le ha rese possibili, la quale potrà in questo modo consolidare il proprio potere politico, grazie alle risorse economiche provenienti da quelle istituzioni economiche estrattive.

Così come le istituzioni estrattive sono il reciproco di quelle inclusive, anche il “circolo vizioso” appena descritto non è altro che il reciproco del cosiddetto “circolo virtuoso” delle istituzioni inclusive. Possiamo dire con i nostri Autori che le istituzioni economiche inclusive sono il risultato di istituzioni politiche altrettanto inclusive; di quelle istituzioni che, potendo essere scalabili, secondo la logica schumpeteriana della “distruzione creativa”, consentono il continuo ricambio della classe dirigente e la massima distribuzione del potere, ponendolo entro limiti certi che ne impediscano l’esercizio arbitrario. Oltretutto, tali istituzioni, se non impediscono in modo assoluto, tendono a ridurre il rischio che qualcuno si impadronisca del potere per minare le fondamenta del sistema inclusivo. Se è vero che le istituzioni politiche inclusive favoriscono la nascita di istituzioni economiche della stessa natura, è altrettanto probabile che queste ultime mal tollerano le istituzioni politiche estrattive, non potendo operare in un contesto di tipo assolutistico, arbitrario e oligarchico.

DARON ACEMOGLU - JAMES A. ROBINSON, Perché le nazioni falliscono. Alle origini di prosperità, potenza e povertà, il Saggiatore, Milano 2013, pp. 527.