Poliarchia e sussidiarietà le vie per lo sviluppo

di Flavio Felice, Maurizio Serio - Pubblicato da 'Liberal' del 10 giugno 2010

Al termine del percorso della nostra Scuola di formazione intitolata a “Luigi Sturzo”, organizzata dal Centro Studi Tocqueville-Acton, in collaborazione con l’Editore Rubbettino, dedicata all'enciclica sociale Caritas in veritate di Benedetto XVI, abbiamo deciso di soffermarci su una delle naturali declinazioni del magistero sociale cattolico: le Settimane sociali, che da diversi decenni costituiscono un momento di riflessione sul medesimo e accompagnano la crescita e la consapevolezza della Chiesa italiana, e in particolare del laicato, sullo specifico apporto da arrecare in ordine alla soluzione dei problemi temporali più importanti del nostro Paese.

Quest'anno che la 46a Settimana sociale avrà luogo in ottobre, dal 14 al 17, a Reggio Calabria. Il documento preparatorio ha preso le forme di una vera e propria "agenda della speranza" con concreti spunti di riforme esperibili per la situazione italiana. Ma al di là della discussione del merito di queste proposte (che vanno dall'invito a completare la transizione costituzionale verso presidenzialismo e maggioritario, all'adozione di politiche fiscali a sostegno della famiglie con figli, alla ripresa di paradigmi educativi fondati sul ruolo dell'autorità, all'allargamento della cittadinanza ai figli di stranieri nati in Italia, e così via...), quello che ci preme sottolineare è una netta evoluzione nell'apertura verso le prospettive di analisi delle scienze sociali che affiancano gli orientamenti teologici e pastorali naturalmente caratterizzanti simili documenti. La cifra di questa evoluzione è l'accoglienza del paradigma poliarchico, una via di studio delle democrazie contemporanee nata dalla riflessione del politologo statunitense Robert Dahl e qui applicato in estensione e profondità per comprendere causa e natura delle emergenze che attanagliano il nostro paese.

A questo proposito, durante tutta la Scuola di formazione, abbiamo tentato di sottolineare il carattere plurale e, quindi, poliarchico del concetto di bene comune. In tal caso, si è resa necessaria la distinzione fra il suo oggetto formale ed il suo contenuto materiale. Formalmente il bene comune non muta al variare delle circostanze, mentre il contenuto materiale cambia radicalmente. Oggi, ad esempio, il concetto di bene comune richiama l’attenzione delle istituzioni su aspetti del tutto ignorati nelle precedenti epoche: assistenza medica, autostrade, controllo dei tassi d’inflazione, istruzione pubblica, diritto al lavoro, bilancio dello stato in pareggio e la lista potrebbe andare ancora avanti, a seconda delle decisioni che, con metodo democratico (cooperativo ossia partecipativo), coloro che condividono le comuni sorti della società civile vorranno prendere per se stessi e per i propri “prossimi” (presenti e futuri). Ebbene, riflettendo sul contenuto materiale del bene comune – avendo come orizzonte di riferimento l’oggetto stesso della Dottrina sociale della Chiesa –, secondo le indicazioni di Giovanni Paolo II in Centesimus annu, n. 42, in un’economia sociale di mercato, tra le altre istituzioni, si rendono indispensabili istituzioni politiche, economiche e culturali che contemperino ragioni di equità e di sviluppo.

Ci aiuterà in questo compito proprio il vicepresidente del comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali, il sociologo prof. Luca Diotallevi dell'Università di Roma Tre, già membro del comitato scientifico del Centro Studi Tocqueville-Acton. Proprio Diotallevi, in un recente studio edito da Rubbettino (Una alternativa alla laicità, 2010), ha trattato a fondo il ruolo dei contenuti religiosi nelle poliarchie contemporanee, cercando di dimostrare l'opportunità che il paradigma continentale della laicité (o laicità alla francese) vada superato in direzione del paradigma anglossassone della religious freedom. Infatti, se la laicité si caratterizza come modello che implica una privatizzazione della religione, la sua scomparsa dallo spazio pubblico, al contrario, il modello della religious freedom non prevede alcuna privatizzazione della religione, riconosce piena dignità pubblica al fatto religioso, ed anzi lo utilizza come strumento (accanto ad altri) per impedire la statalizzazione dello spazio pubblico e per contrastare le ambizioni ad una sovranità assoluta da parte delle istituzioni politiche. Tanto la laicité è organica ad un modello di “monarchia sociale” quanto la religiuos freedom lo è ad un modello di “poliarchia sociale”: un solo potere ordinante nel primo caso (lo “Stato”), molti che si controllano e si limitano reciprocamente nel secondo. Se la laicité neutralizza la religione all’interno dello spazio pubblico e la relega nel privato, la religious freedom separa i poteri politici da quelli religiosi in quanto li riconosce come due diverse forme di poteri pubblici (analogamente a quanto avviene in regime di poliarchia per i muri che separano i poteri politici da quelli economici, scientifici, e via dicendo).

Su tutti questi temi interverranno Flavio Felice, Presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton, Paolo Armellini, docente di Storia delle dottrine politiche presso l'Università di Roma "La Sapienza" e il sociologo Antonio Cocozza dell'Università di Roma Tre