Le regole e le relazioni. Per un'economia attenta alla persona

intervista a Flavio Felice di M.Michela Nicolais

"Quanto la dottrina sociale della Chiesa ha sempre sostenuto a partire dalla sua visione dell'uomo e della società oggi è richiesto anche dalle dinamiche caratteristiche della globalizzazione". È quanto si legge nella "Caritas in veritate" (n.39). La terza enciclica del Papa farà da sfondo al convegno nazionale dei direttori degli Uffici di pastorale sociale, in programma ad Assisi, dal 19 al 22 ottobre, per iniziativa dell'Ufficio Cei per i problemi sociali e il lavoro, sul tema: "L'annuncio della verità dell'amore di Cristo nella società". A delineare i tratti di "un'economia attenta alla persona", a partire dalle indicazioni di Benedetto XVI, sarà Flavio Felice, docente di dottrine economiche e politiche alla Pontificia Università Lateranense e presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton, tra i relatori del convegno. Lo abbiamo intervistato.

L'esigenza di "umanizzazione" pervade l'intera enciclica "Caritas in veritate", a partire dalla necessità di una globalizzazione come "umanizzazione solidale". Quali imperativi comporta sul piano economico? "Grazie alla Caritas in veritate - ma ancor prima alle encicliche sociali precedenti, in modo particolare alle encicliche di Giovanni Paolo II - il problema economico è stato posto in modo decisamente originale, almeno per quanto riguarda l'elaborazione teorica. Se negli ultimi 200 anni l'economia è andata formalizzandosi, e si può dire abbia perso il connotato umano e civile che aveva alle origini, le encicliche sociali hanno posto invece in primo piano la centralità della persona, nelle scienze sociali e nella scienza economica in modo particolare. L'economia, in altre parole, ha recuperato una radice relazionale: puntare, come invita a fare il Papa, ad una globalizzazione come umanizzazione solidale significa comprendere che la relazione interpersonale, che sta alla base della scienza economica, è la stessa a livello micro e a livello macro. Così come non si possono raggiungere risultati ottimali se non in forza della relazione con l'altro, nessun popolo, nessuna realtà economica, nessun mercato è in grado di raggiungere un livello ottimale di razionalità allocativa delle risorse scarse, se non diventa interdipendente rispetto ad altri mercati. Non esiste un'economia che non dipenda da un'altra: se ieri questa era un'opportunità per pochi, oggi è una necessità per tutti, in un mondo sempre più interdipendente per ragioni storiche e politiche".

Nella Caritas in veritate il Papa mette in guardia sia dal "dare per avere", proprio della "logica dello scambio", sia dal "dare per dovere", tipico dei "comportamenti pubblici imposti per legge dallo Stato"... "Quella indicata da Benedetto XVI non è la terza via, ma una possibile via alternativa tra le tante che conosciamo. L'attività economica è tanto ricca quanto lo è il genere umano: tutte le forme di economia, di organizzazione del lavoro produttivo, meritano grande attenzione. Non esiste un for profit e un non-profit, esistono persone che si associano per un fine produttivo. Non esiste una banca etica e una banca d'affari, se non come differenti tipologie funzionali. Eticamente, sono tutte forme rilevanti perché nascono dall'esigenza di risolvere il problema di come allocare nel modo migliore conoscenze e risorse scarse. Non ci sono, in altre parole, divisioni a compartimenti stagni, tutte le forme di organizzazione economica hanno la loro rilevanza. La logica del dare per avere e quella del puro dono non sono due modi diversi di intendere l'economia: ogni azione economica presenta sempre entrambe le dimensioni, perché entrambe le logiche sono presenti in tutte le situazioni umane".

Già Paolo VI nella "Populorum progressio" auspicava un modello di economia di mercato, per così dire, "inclusivo": quanto siamo lontani da "un mondo più umano per tutti"? "Paolo VI invitava le nazioni ad essere più solidali l'una con l'altra, in particolare i Paesi ricchi rispetto ai Paesi poveri. Giovanni Paolo II, nella Sollicitudo Rei Socialis, non solo invitava i Paesi ricchi ad essere responsabili, ma ad aprire i loro mercati ai Paesi poveri, mettendo però in guardia i Paesi ricchi dal pericolo che al sottosviluppo si aggiungesse o si sostituisse il supersviluppo: un concetto che in economia sembrerebbe non trovare facile cittadinanza, perché appare una contraddizione in termini, ma che dal punto di vista dell'economa civile, oltre che etico, ha la sua rilevanza. Oggi ci sono sacche di povertà sempre maggiori proprio nelle società più opulente, in cui il benessere è più diffuso: ciò significa che c'è una situazione di disagio e sottrazione dal consesso sociale di larghe fasce della popolazione proprio dove la ricchezza è maggiore, un'esclusione dal mercato proprio dove il mercato è maggiormente diffuso. Mentre l'appello di Giovani Paolo II ad individuare nuovi protagonisti nel mercato è stato in parte raccolto, ed alcuni Paesi in via di sviluppo prima esclusi dal mercato sono entrati in esso, altre realtà prima incluse nel mercato stanno divenendo sempre più marginali. Si tratta di persone che non sono solo povere, ma estranee al circuito, disadattate, in quanto non hanno nessuna possibilità di entrare nel mercato, pur trovandosi in società opulente. Non sono persone disoccupate, ma non occupabili: oltre ad operare per l'inclusione nel mercato dei Paesi poveri, che già avviene spontaneamente, a mio avviso, il grosso problema sta proprio nell'aiutare chi non presenta i requisiti necessari a reinserirsi nel mercato".