Un intellettuale senza note a pie' di pagina

di Flavio Felice  il presente articolo e' apparto su Liberal del 29 settembre 2009

Adjunct Fellow American Enterprise Institute – Washington D.C.

"Molti di noi provenivano dalla classe medio-bassa e da famiglie di operaie, eravamo i figli della Grande Depressione, veterani della seconda Guerra mondiale che accettarono il principio del New Deal... Ci considerammo sin dall'inizio dei dissidenti liberals – dissidenti in quanto eravamo scettici nei confronti di buona parte del programma Great Society di Lyndon Johnson e sempre più disillusi rispetto alla metafisica liberal".

Con queste parole, Irving Kristol spiegava che cosa fosse il neoconservatorismo nella prefazione che ebbe la gentilezza di scrivere al mio libro Prospettiva neocon. Capitalismo, democrazia, valori in un mondo unipolare (Rubbettino 2005). Un brano che ho citato nell'introduzione che ho scritto all'edizione italiana del libro in suo onore da poco pubblicato dall'Editore Rubbettino: "La visione politica di Irving Kristol". Sembra impossibile (ma del tutto plausibile!), eppure in Italia, di uno dei maggiori analisti politici statunitensi contemporanei, esiste solo una raccolta di saggi: "Neoconservatorismo: biografia di un'idea" e da qualche mese la citata raccolta in onore.

Un dato che caratterizza l'esperienza neocon americana è che i cosiddetti neoconservatori provengono generalmente da varie matrici culturali; uno degli aforismi più frequenti per definire il loro approdo sul versante conservatore è quello coniato dallo stesso Kristol: "liberals assaliti dal realismo", oppure dei "marxisti venuti dal freddo". In realtà, definizioni così lapidarie non consentono di cogliere alcuni importanti elementi che qualificano in termini reali il percorso intellettuale neoconservatore. Possiamo indicare il fenomeno neoconservatore come un'autonoma prospettiva culturale nella quale è possibile rintracciare una dimensione politica ed una epistemologica.

Dagli scritti dei maggiori interpreti di tale prospettiva emerge immediatamente un approccio epistemologico di carattere fallibilista ed anticostruttivista. In definitiva, se proprio dovessimo andare alla ricerca di un "comandamento" che tenga insieme tutte le componenti che individuano l'arcipelago neocon, esso sarebbe il principio delle conseguenze non intenzionali.

È unanimemente riconosciuto che la figura dominate e centrale di tale percorso culturale sia stata Irving Kristol. Intorno alla sua persona, nel corso degli anni Settanta ed Ottanta si sono ritrovati numerosi intellettuali, provenienti da diverse tradizioni ed aree culturali; così abbiamo assistito ad un'autentica visione neoconservatrice in ambiti quali la criminologia, la scienza economica, la storia, la politica estera, la sociologia e la teologia.

Le radici del neoconservatorismo, da un punto di vista strettamente storico, affondano nel movimento liberal anticomunista degli anni Cinquanta. Si trattava di un circolo di intellettuali non estremamente esteso, ma già significativamente distinto dal mainstream progressista, al quale negli anni si aggiunsero pensatori, soprattutto di cultura ebraica, provenienti dalla città di New York. I primi liberal anticomunisti furono Sidney Hook, Diana Trilling, Lionel Trilling, Nathan Blazer, Gertrude Himmelfarb, Irving Kristol, Norman Podhoretz, solo per citare quei personaggi che in seguito divennero particolarmente noti presso l'opinione pubblica e la comunità intellettuale americana.

L'anticomunismo radicale formulato su riviste come "Commentary", "The New Leader" e "Partisan Review" era incentrato sostanzialmente su due punti. In primo luogo, l'affermazione che il comunismo è il male assoluto; in secondo luogo, la dimostrazione che il liberalismo non è soltanto distinto dal comunismo, ma diametralmente opposto per quanto concerne tanto il nucleo teorico quanto le sue implicazioni pratiche. L'opinione che i liberal anticomunisti avevano del comunismo era sostanzialmente condizionato da tre fattori: in primo luogo la passione tipica degli ex; in secondo luogo, la particolare consapevolezza della ferocia totalitaria generata dal nazismo; ed infine la convinzione che lo stalinismo non fosse moralmente separabile dal nazismo. Sia il nazismo sia il comunismo apparivano agli occhi dei liberals anticomunisti espressioni dell'incarnazione stessa del male, il tentativo di distruggere ogni sorgente di libertà; ed una società libera, dal momento che dipende da alcuni prerequisiti – non ultimo l'istinto di auto-preservazione – è necessario che rigetti simili minacce alla propria esistenza. Il destino del socialismo, tanto nella versione utopistica quanto in quella scientifica, appariva inevitabilmente segnato dalla deriva totalitaria e da una frustrante incapacità di reggere il confronto con i sistemi democratici e di libero mercato. Innanzitutto, il socialismo, ha sostenuto Kristol, mostra di essere compatibile soltanto con una società nella quale tutti gli individui sottoscrivono il medesimo "credo": il socialismo; in secondo luogo, con una società nella quale, permanendo forti elementi di tribalismo, non si creino le condizioni per la divisione del lavoro che rende necessari i processi di mercato; ed infine, con una società nella quale i suoi membri manifestino un totale e volontario disinteresse nei confronti del benessere materiale e del relativo miglioramento delle proprie condizioni. Una società del genere, tuttavia, sarebbe incompatibile con il pluralismo, con la tolleranza, con la libertà e con la democrazia.

In definitiva, se esiste una prospettiva neoconservatrice è per l'opera instancabile di un uomo arguto, ironico e colto come I. Kristol. Una figura del tutto atipica rispetto all'immagine che normalmente si ha dell'intellettuale (ha sempre detestato questo termine), o quanto meno che in molti in Italia ed in Europa abbiamo della figura dell'intellettuale.

In pratica non c'è polemica politica e culturale sulla quale i neoconservatori siano intervenuti, dietro la quale non ci fossero la spinta argomentativa e l'ironica vis polemica di I. Kristol. Dal rapporto con il libertarismo a quello con il conservatorismo, dall'anticomunismo radicale alla difesa delle istituzioni borghesi, dalla critica al welfare state all'analisi critica del capitalismo, fino alle dispute in materia di politica estera. Ecco solo alcune tematiche sulle quali i neoconservatori hanno indelebilmente segnato il dibattito pubblico americano e non solo. Su ciascuno di tali argomenti, Kristol si è distinto per originalità ed acume.

In particolare, con riferimento al rapporto con il libertarsmo, Kristol ha evidenziato come questa corrente di pensiero, nel rigettare radicalmente la nozione di autorità pubblica, disprezzando quella di "compassione" e non cogliendo il carattere storico ed evolutivo delle istituzioni – anche di quelle statali –, finisce per offrire una sponda preziosa alle forze liberticide che intendono distruggere la società borghese e con essa le sue istituzioni pluralistiche, capitalistiche e democratiche. L'autentico nemico delle società capitalistiche liberali è il nichilismo ludico e la filosofia politica libertaria non sembrerebbe sufficientemente attrezzata per far fronte a questo potente nemico. L'"auto-realizzazione" non può sostituire l'idea classica di sympathy; che cosa accadrebbe, si chiede infatti I. Kristol, se la nozione di auto-realizzazione venisse interpretata in termini di disprezzo della società libera e se alcuni usassero questa libertà per sovvertirne le istituzioni?

Rispetto al dibattito aperto da Kristol sul capitalismo, questi, dopo aver individuato il problema nel diffuso sentimento anticapitalistico che caratterizzava tanto la cultura progressista quanto quella conservatrice, ed il conseguente tentativo dei neoconservatori di rispondere a tale critica con argomenti convincenti, ha contribuito con la sua analisi all'elaborazione, in termini culturali, della cosiddetta supply-side economics. Kristol mette in evidenza come l'anticapitalismo, sebbene non individui alcuna alternativa praticabile all'attuale sistema di libero mercato, mette in luce un problema autentico: il capitalismo non ha saputo mantenere fede alle sue promesse. Se da un lato è indubbio che le sue istituzioni hanno consentito un'effettiva crescita economica ed una diffusa libertà politica, esse hanno fallito sul versante culturale. La cultura del capitalismo alla lunga finisce per far degenerare il sistema economico in forme di corruzione che privano le istituzioni politiche ed economiche del necessario sostrato morale.

L'ultimo, tra gli argomenti che abbiamo selezionato per rappresentare il contributo intellettuale di Kristol all'elaborazione della prospettiva neoconservatrice, è dato dalla riflessioni sulle opzioni strategiche da adottare in politica estera. Kristol sostiene che il limite fondamentale della prospettiva politica internazionale degli Stati Uniti durante tutto il ventesimo secolo sia stato quello di non aver voluto accettare la realtà dei fatti, ossia che la battaglia che si è combattuta durante tutto il secolo sia stata di tipo ideologico. Tuttavia, e qui si rinverrebbe una – benché sfumata – differenza rispetto al più spinto e noto "globalismo democratico" neoconservatore, Kristol osserva: "se si desidera che l'attivismo [democratico] abbia l'appoggio popolare, dovrà avere necessariamente una significativa dimensione ideologica. Coloro che fanno la politica estera americana scopriranno – se non lo stanno già scoprendo – che qualsiasi concezione vitale di ‘interesse nazionale' degli ‘Stati Uniti' non sarà utile se non correlata a quella filosofia politica – ideologia, se si vuole – che è alla base di ciò che noi chiamiamo ‘il modo di vivere americano'".

Il riferimento all'elemento ideologico in Kristol è giudicato indispensabile per conquistare il necessario consenso popolare. Il godfather sarà ancora più esplicito quando, mostrandosi riluttante ad inserire il dibattito sui diritti umani in cima alle priorità della politica internazionale, contestava che lo scontro con l'Unione Sovietica fosse un conflitto sui diritti umani, mentre a suo parere si trattava dello scontro finale su chi fosse legittimato a determinare quali fossero tali "diritti umani", ossia, su chi avesse il potere di stilare la lista e definire i fini politici delle prossime generazioni. Non v'è dubbio che alla base del conflitto ci sia una differente concezione della storia e dell'uomo, e non ha senso, conclude Kristol, prendersela tanto con i nostri avversari e criticarli "perché non condividono la nostra tradizione politico-filosofica liberale". Si tratta, dunque, di una battaglia tra idee differenti che, tuttavia, andrebbe combattuta come una qualsiasi altra battaglia per la conquista del potere: il potere di generare idee.

Sono consapevole della difficoltà di rappresentare in modo sintetico la complessità del pensiero di un uomo così intrigante e così significativo per la storia delle idee politiche degli ultimi cinquant'anni. Più che l'analisi di un pensiero o di una prospettiva culturale, ho tentato di esprimere la mia gratitudine ad un uomo che ho avuto l'onore di conoscere e di studiare. Indimenticabili i rari momenti che abbiamo passato insieme; giovane appena laureato, in una Washington clintoniana, non dimenticherò mai la sorpresa di imbattermi nell'opera fluida e profonda di un intellettuale "senza note a piè di pagina", di un intellettuale che ha sempre rifiutato tale appellativo, giudicandolo pretenzioso e spocchioso.

Grazie Mr. Kristol e mi perdoni se, contro la sua volontà e con un po' di insolenza, ho continuato imperterrito a chiamarla "intellettuale". Seno certo che la sua ironia e la sua arguzia hanno saputo relativizzare anche questo imperdonabile affronto!