Arretrati saranno gli statalisti

di Flavio Felice

"Sarebbe bene per tutti lasciare che i morti seppelliscano i morti". Con questa sentenza Agostino Carrino conclude il suo articolo pubblicato da "Il Secolo d'Italia" del 23 gennaio: "Don Sturzo? Se lo tengano quelli del Pd". Non mi interessa entrare nel merito di chi dovrebbe caricarsi dell'eredità sturziana, né tanto meno sono interessato a polemizzre sulla scelta di un titolo a dir poco rozzo. Appare, invece, decisamente più interessante tentare di ragionare su un'affermazione di Carrino in merito all'attualità del "popolarismo".

Dopo aver negato lo status di classico del pensiero politico all'esule di Caltagirone, l'Autore dell'articolo si ripropone con un'altra sentenza quanto meno discutibile. Egli sostiene che "la posizione di Sturzo appare in realtà particolarmente arretrata perchè non riesce a cogliere la dialettica tra Stato e società". Che buffo! Una simile critica giungeva a Sturzo dai notabili dell'italietta giolittiana, da quella megalomane e liberticida fascista e da quella "fascistizzata" di una parte della democrazia cristiana degli anni Cinquanta. Ironia della storia, Sturzo non è mai stato attuale, non lo era per i liberali dei primi del Novecento, non lo era per i fascisti che lo tennero 22 anni lontano dalla sua Patria, non lo era neppure per quei democratici cristiani che, a detta di Sturzo, confondevano "socialità" e "socialismo".

Sturzo non appariva attuale - e non appare attuale al giornale della destra italiana di oggi - proprio per le ragioni ben esposte da Carrino: Sturzo era il teorico di un'articolazione orizzontale e verticale della società civile ispirata al principio di sussidiarietà. Per Sturzo lo Stato avrebbe dovuto svolgere una funzione "sussidiaria" e "temporanea". Questa posizione non è arretrata, è semplicemente liberale, nel senso einaudiano del termine. Si può non condividere e pensare allo "Stato" in termini quasi idolatrici. Se qualcuno ritiene che questa sia la modernità, allora Carrino (e chi lo ha preceduto) ha pienamente ragione.

La posizione di Sturzo si scontrava con quella di coloro che vedevano nello "Stato" una "realtà" sui generis, un quid tertium in possesso di un "senso" proprio. Una realtà ipostatizzata posta al di sopra dei singoli. Non è un caso che Carrino scriva espressamente di "senso dello Stato", contrapponendolo in modo dialettico a quello di coloro che compongono lo Stato. Sturzo amava presentare la sua teoria politica come alternativa - in termini epistemologici - al motto mussoliniano: "tutto nello Stato, per lo Stato, dello Stato". Non è un caso che fosse considerato pericoloso dai fascisti ed in seguito scomodo anche dai protagonisti del montante statalismo del secondo dopoguerra.

La teoria politica sturziana, il popolarismo, ha attinto dalla tradizione liberale anglosassone, ma non è vero, come sostiene Carrino, che non abbia attinto anche da quella tedesca (certo non la parte peggiore! e nemmeno un certo corporativismo). Sturzo era amico ed estimatore (sentimento reciproco) di Roepke, di Adenauer, di Erhard.

Insomma, Sturzo ha fatto propria la parte migliore della cultura politica tedesca liberale e cristiana del secondo dopoguerra: l'economia sociale di mercato. Sturzo analista politico critica acutamente lo statalismo, la partitocrazia e l'abuso di denaro pubblico (le "tre male bestie") e propone uno schema teorico in forza del quale lo Stato è arbitro, il mercato è il campo di gioco e gli operatori sono i giocatori. Sturzo non demonizza lo Stato, semplicemente non pretende che si esprima mediante ciò che non ha: la "parola". Gli unici ad essere dotati di "parola" sono le persone in carne ed ossa, una parola che rivela il concetto di libertà "individuale ed integrale", tale da manifestarsi nella responsabilità: rispondere direttamente delle proprie scelte, contro ogni "ragion di Stato", di partito, di razza e di nazione.

Per Sturzo esistono solo persone, lo Stato è un mezzo, uno dei tanti mezzi dei quali la creatività umana si dota per rispondere umanamente (data l'ignoranza e la fallibilità che contraddistinguono la contingenza umana) a particolarissimi problemi di ordine politico, economico e culturale. Metodologicamente egli era prossimo al suo amico Luigi Einaudi, era consapevole che la conoscenza procede sempre per tentativi ed errori; questa è la logica scientifica e questa era la metodologia sturziana.

E' buffo che dopo 90 anni Sturzo continui ad apparire arretrato, e forse anche un po' preoccupante, se è vero che le ragioni sono sempre state le stesse: che fossero i latifondisti siciliani, i fascisti o i "social-comunisti", tutti avevano in comune il disprezzo per il metodo della libertà e rifiutavano lo schema teorico di una società civile che si articola dal basso, nella quale lo Stato e i partiti sono mezzi e mai "fini ultimi". Appare evidente che chi mostra difficoltà a comprendere politicamente, oltre che moralmente, i vantaggi politici, economici e culturali del metodo della libertà continuerà a vedere in Sturzo un alieno.