Scudo, non più scudo?

di Alia K. Nardini

Ciò che stupisce riguardo al progetto di difesa missilistica statunitense è la mancanza di obiettività dimostrata da molti nel commentare le ultime decisioni di Barack Obama. Pare che coloro che fino a poco tempo fa condannavano il progetto – e dunque una parte dell’Europa, oltre che alla Russia e alcuni paesi mediorientali - abbiano perso di vista la proposta in sé e gli elementi che hanno portato il Presidente a rivederne i dettagli. È necessaria un po’ di chiarezza.

Le premesse da cui muove Obama sono, per sua stessa ammissione, le stesse di Bush: in primo luogo, serve uno scudo in grado di contrastare la minaccia nucleare iraniana prima che questa possa concretizzarsi e colpire; secondo, lo scudo deve essere operativo al più presto e vedere la collaborazione di quanti più alleati possibile, al primo posto (se fattibile) la Russia; terzo, ma non meno importante, lo scudo deve avere carattere difensivo, non offensivo, dunque non deve entrare in conflitto con i piani NATO per un progressivo disarmo nucleare nel mondo.

Vista la politica di distensione che Obama intende perseguire con Mosca, nonché la severa crisi economica negli USA che impone spese più contenute, la scelta più logica per la difesa antimissile (seppur non necessariamente condivisibile) è quella di ripiegare almeno per il momento su un’opzione meno dispendiosa e meno controversa: le navi Aegis (che Bush prevedeva di integrare nel progetto in un secondo momento) e gli intercettori SM-3 con i relativi radar, utili a contrastare i missili balistici a breve e media gittata, che Obama intende schierare nel Mediterraneo Orientale. Una simile strategia, come ha specificato il Ministro della Difesa Robert Gates, non presuppone peraltro una rinuncia, ma solo un posticipo dell’approntamento dei siti in Polonia e Repubblica Ceca.

Ora, sorprende che Medvedev accetti di ridiscutere un piano che renderebbe operativi radar posizionati su navi militari, dunque meno controllabili e più vicini alla Russia di quanto proponeva Bush. E sorprende che consideri attuabile l’ipotesi di schierare un numero variabile di intercettori (quando dieci bastarono a far infuriare Mosca solo pochi mesi fa), per di più a corto e medio raggio – dunque teoricamente adatti anche a contrastare la gittata di missili russi. Nel complesso, stupisce che la Russia ancora una volta apra al dialogo sullo scudo – seppur inizialmente anche le richieste di Bush avevano suscitato pari trasporto. Evidentemente, per Mosca l’Europa dell’Est è una moneta di scambio molto più preziosa di quanto si creda.

Tuttavia la logica implicita nella politica estera di Obama suscita amarezza. Per la Polonia e la Repubblica Ceca, così come per la Georgia, il messaggio è chiaro: per gli Stati Uniti, il dialogo con gli antagonisti viene ora prima del bene degli alleati. Seppur ciò non significhi che gli USA saranno disposti a soprassedere su eventuali azioni offensive da parte di Mosca o Teheran, coloro che credono nella libertà e nella democrazia hanno di che preoccuparsi.